venerdì 16 agosto 2013

Il ladro

Lui rubava sorrisi.
Cominciò per gioco alle elementari con il suo compagno di banco, fu facile bastò distruggergli il suo gioco preferito.
La sua carriera proseguì alle medie e poi al liceo. Era diventato davvero bravo, riusciva sempre a scovare il punto debole di tutti.
Decise di farne un lavoro.
Sciocchi, invidiosi, mediocri lo chiamavano e lui, dietro compenso, rubava i sorrisi di chiunque.
Talvolta lo faceva anche gratis, così per il gusto di farlo.
Quando morì molta gente sorrise ma lui ormai da dentro la bara non poté approfittarne.


giovedì 11 febbraio 2010

A colazione

Quando gli occhi gli caddero sul giornale che sua moglie aveva lasciato sul tavolo, la mascella cominciò a tremargli, impercettibilmente ma irrefrenabile. Un pezzo della fetta di torta di mele che teneva in mano si staccò e cadde nella tazza del caffelatte, e un’esplosione di schizzi dipinse una nuvola di macchioline sulla camicia fresca di bucato. Non se ne accorse nemmeno. Gli occhi restavano puntati sul necrologio nel quale tre figlie, qualche genero, nipoti e bisnipoti piangevano la dipartita della cara Dorotea Mordenti, educatrice instancabile, spentasi serenamente a 97 anni dopo una vita spesa nell’amore per la famiglia e per la scuola. Fissava gli occhi della vecchietta nella piccola fotografia, occhi che parevano vivi, che prendevano vita, anzi, mentre quella faccia smagrita e raggrinzita si distendeva, si riempiva, tornava a colorarsi di quella terribile e indimenticabile tinta paonazza. Quegli occhi lo fissavano implacabili, mandavano saette minacciose di morte mentre la voce, quella voce stridula che in tanti anni non aveva mai potuto dimenticare, sillabava la sua condanna: «Allora, Bertozzi, aperta la quadra, aperta la tonda, due più x alla terza, chiusa la tonda al quadrato, per radice quadrata di sette dodicesimi meno, aperta la tonda, otto settimi alla meno due più… Bertozzi cosa fai lì come un salame? Muoviti Bertozzi, è facile. Ti ho messo un due il mese scorso, non ne vuoi mica un altro? Devo aspettare ancora per molto, Bertozzi? Muoviti!».

Bertozzi era atteso in consiglio di amministrazione, ma restava immobile sulla sedia. Pallido, guardava gli occhi teneramente sorridenti della cara Dorotea e anche adesso, come allora, si sentiva niente più che un verme; uno stupido, insulso, insignificante - e soprattutto ignorante verme.

martedì 15 dicembre 2009

A Tre-Sette col Minotauro

Intanto l'uomo vestito di cuoio sale le scale di casa mia, é sempre più vicino; io invece mi danno a cercare un paio di scarpe per fuggire e non le trovo.

venerdì 4 dicembre 2009

Non sia prolisso

Al momento buono avrebbe urlato: "Pietà! Pietà! Pensi solo che non potrò mai più accarezzare i miei figli!..".
L'essere stato così prolisso gli fu fatale: quando era ancora al "non potrò", il boia già gli mozzava la seconda mano.

domenica 22 novembre 2009

Un posto

Ogni domenica la fiat punto si ferma su quella strada, ne escono cinque quattro due ragazzi, a seconda dei compiti e degli impegni. Venti dieci quindici cinque marmocchi a seconda di non si sa quali flussi oscuri si avvicinano ai già nominati ragazzi. Loro sanno che ci stanno a fare lì, sono venuti per giocare. Non si sa esattamente spiegare cosa sia quel posto, è una via di mezzo tra il quartiere abbandonato di una città o un paese a se stante che campa di malavita. Non è niente, è un posto e basta. Molto piccolo, però.
Sono marmocchi molto vivaci, ognuno con un proprio modo di agire e di fare, se ti chiedi come mai l'uso della violenza, fisica e verbale, sia per loro la normalità, devi andare a dare uno sguardo all'interno delle mura domestiche, e capirai. Il piccolo boss è Tavit, padre in galera per spaccio, madre sola con lui e altri tre o quattro figli più piccoli, non hanno i soldi neanche per mangiare, ma lui ha un motorino, e questo basta per essere rispettato dagli altri bambini. Lui è l'unico che non corre all'arrivo dei ragazzi, sta fermo sul muretto con le gambe penzoloni mentre gli altri giocano a Nascondino, Un due tre stella, Guardie e ladri, Birilli (tutti si mettono con le spalle a muro e devono cercare di evitare di essere colpiti con la palla), varie ed eventuali creazioni del momento. Ai ragazzi piace giocare con loro anche se non sempre è tutto così facile, soprattutto perchè sono bambini molto molto vivaci e abituati alla violenza, non conoscono il rispetto delle regole neanche nel gioco. Non si affezionano facilmente, come può un bambino che non sa neanche se il genitore è buono o cattivo affezionarsi a qualcuno? Ma quando lo fanno, ti senti utile e appagato.In un mare di cose immutabili e orrende, soffio di vento su un ingranaggio sbagliato che non si può cambiare. Forse è per questo che continuano ad andare tutte le domeniche, perchè nonostante facciano ben poco per quei bambini, vogliono dimostrare che bisogna avere fiducia nelle persone, forse perchè non si può non ritornare dopo aver visto quegli occhi di bambini così pieni di non si sa cosa, forse perchè credono ancora di poter cambiare qualcosa.
-Ehi tu. Vieni domenica prossima?

mercoledì 18 novembre 2009

L'altro

La tua inesauribile energia mi ha reso una donna felice ma ora devo lasciarti, mio figlio mi aspetta disse la donna riponendo il suo mac.

domenica 15 novembre 2009

Monia

Oggi ha telefonato una con una vocetta petulante: "Pronto buongiorno vorrei sapere se oggi è possibile visitare la cantina" "Lei chi è scusi?" "Sono Monia F., una studentessa della facoltà di scienze gastronomiche e..." "Mi spiace, oggi non ci siamo".
Rimane un po' come interdetta, la immagino fare una specie di broncio che si intuisce anche nel tono della voce: "Ah ...ma...io".
"Sono spiacente, oggi non ci siamo, riprovi a chiamare, magari per una visita infrasettimanale". "Ecco, sì, magari provo un'altra volta" conclude lei con tono seccato. Ma brutta stronza, ma va' a chiedere di "visitare" un'altra cantina di domenica pomeriggio, poi senti cosa ti rispondono.
Però sono iena e bastardo inside: mi è venuto in mente mentre scrivo che se la vocetta petulante e femminile fosse stata una voce maschile profonda e sensuale che avesse detto "Sono Luca T. uno studente della facoltà di scienze gastronomiche" avrei risposto: "ma venga, venga pure! Tanto noi viviamo qui, sarà un piacere dedicarLe tutto il pomeriggio".
Ma poi chissà, magari Luca T. è l'amico gay di Monia F. e sarebbe venuto con lei,  ma le ha detto: "chiama tu, se il titolare sente una voce di ragazza sicuramente non dirà di no". E così magari ho dato un calcio al pane, vassapé.
Ché sì, la Monia, sicuramente, è innamorata persa di Luca, e per lui farebbe qualsiasi cosa: compreso telefonare al bel produttore che Luca vorrebbe incontrare perché l'ha visto a un salone, e se ne è innamorato perso a sua volta.
Ma il nome "Monia" proprio non lo reggo.

sabato 14 novembre 2009

Legittima difesa

Se ne stava appoggiato al muro con l’aria di chi si è appena risvegliato da uno strano sogno.
Era un ragazzo biondo, esangue. Un adolescente dinoccolato, dalle mani ossute, le iridi chiarissime che sembravano non mettere a fuoco la realtà che gli stava dinanzi.
La donna giaceva a terra, poco più in là, la testa fracassata. Uno spettacolo raccapricciante che persino il commissario cercava di evitare. Attorno, la scientifica si stava dando da fare.
Il ragazzo continuava a fissare il nulla, l’occhio vacuo. Il martello era ancora ai suoi piedi.
Il commissario gli si mise di fronte. “Perché?”, gli chiese. Il ragazzo non rispose.
“Era tua madre.”, gli disse ancora, cercando di incrociarne lo sguardo.
Il ragazzo lo fissò stupito, come colpito da un’improvvisa rivelazione, poi il terrore gli si dipinse sul viso e scosse più volte la testa quasi a scacciare una visione orribile o in un disperato diniego.
“No!”, esclamò concitato, “Non era mia madre! Era un mostro. Un mostro orribile, affamato, che mi stava divorando vivo. A morsi, coi suoi denti affilati...”
Si fermò, guardò il corpo a terra con disgusto, rabbrividì.
Poi rivolse di nuovo al commissario gli occhi limpidi e freddi e sussurrò:
“E’ stata legittima difesa”.

Wanted

la guardi interrogativo.
ti risponde molto tranquillamente.
Lei è qua, di fronte a te, si è presentata senza avviso e quando l’ hai vista entrare in camera tua come se nulla fosse, un sussulto ti ha fatto alzare di scatto dalla sedia, sulla tua faccia l’espressione di chi ha appena visto un fantasma.
Forse uno scheletro nell’armadio.
Ti fissa con quei suoi occhi cristallini e innocenti, ha bisogno di te e senza pronunciare parola ti sta chiedendo aiuto. Ma tu non capisci, la guardi e ti stupisci del fatto che sia là e del fatto che ancora oggi, dopo tutto questo tempo, un brivido sospetto ti ha percorso nel momento in cui è apparsa ai tuoi occhi.
Non era mai stata prima d’ora a casa tua, ma attraversa la stanza fino ad andarsi a sedere sul tuo letto con disinvoltura inaspettata. Spegni lo schermo del computer e ti risiedi sulla sedia della scrivania, voltandoti verso lei. Si guarda intorno, osserva tutto con attenzione, con curiosità, morbosa di assimilare più cose possibile. Tu non la perdi d’occhio neanche per un istante. Fuori il sole tramonta, il buio si poggia sui palazzi, avvolge le strade, i lampioni si accendono e gettano squarci di ombra dietro ogni sporgenza. Un occhiata fuori dalla finestra e ancora il suo viso, non sai perché, ma ora la vedi sotto una luce diversa, un po’ ti fa paura, seduta sul tuo letto, la immagini distesa, il suo volto dolce, i capelli profumati, la pelle morbida, scacci via quei pensieri, hai paura di cedere e sai che non devi assolutamente. I vostri sguardi si incrociano, leggi nei suoi occhi lo sconforto, forse anche un poco d’ansia e di imbarazzo, ma infondo la puoi capire, si starà pentendo di essere venuta e deciderà di andare via; al contrario il suo imbarazzo è dato dalla tua presenza, che la guardi con sospetto, sente i tuoi occhi sul suo corpo. Ti alzi e le vai incontro mosso dall’istinto di consolarla, ti metti affianco a lei, le posi una mano sul ginocchio. Lei si gira e scruta il tuo viso, impercettibilmente appoggia la sua mano sulla tua, quel contatto scatena in te qualcosa che ha parole non si può descrivere, un tumulto di emozioni spazzano via quella sensazione di disagio che albergava in te ogni volta che l’ hai incontrata in questi ultimi tre mesi. Freddo fuori e caldo dentro.
La guardi per un ultima volta, senti di volerla e lei ti sta dicendo che vuole lo stesso, le cingi la spalla e la fai scendere sdraiata sul letto con te. Ti volti nella sua direzione, cerchi le sue labbra e quando le trovi il desiderio esplode, tutti quei sentimenti che avevi tenuto nascosto per tutto quel tempo ora escono allo scoperto, pronti a farsi riconoscere uno ad uno: gelosia, per tutte quelle volte in cui l’avevi vista con altri e non avevi potuto dirle che doveva stare solo con te, avresti voluto portarla via, ma non hai mai osato, rabbia per averla persa, per il modo superfluo in cui gli altri la guardavano, mentre tu eri riuscito ad andare a fondo, ma non era comunque servito a niente, timore del perderla ancora, sollievo nell’averla appena ritrovata.
Lei, più di tutto, sente la paura di farsi ancora del male, si era imposta di non ricaderci, ma ora che l’ ha fatto, l’unica cosa che potrebbe farla stare male è un nuovo rifiuto. Le tue mani sul suo corpo la spogliano, lei fa lo stesso con te, i vestiti cadono e le lenzuola si disfanno, la senti tra le mani, i suoi capelli ti fanno il solletico, i vostri corpi nudi che aderiscono, le prendi la vita in una presa ferma e la fai tua. Tu dentro lei e lei dentro te. Un'unica cosa. Nessun pensiero osa sfiorare la mente di entrambi; da una parte il cedimento, dall’altra la rivincita. Il battito del cuore di lei accelera smisuratamente, il piacere puro la inebria e non le importa delle conseguenze, lascia che tu la distrugga ancora un po’.

venerdì 13 novembre 2009

Eppure ho fatto anche cose belle


Meglio Varano che era un mio amico vero e che è morto al Niguarda di cancro e che aveva fatto 36 anni di carcere, ma lui dopo ha vissuto come gli pareva, mandando via anche i cacciatori dal suo orto, dicendo che gli avrebbe mangiato il cuore se fossero ancora passati da lì. Loro hanno capito che varano l'avrebbe fatto e non sono più passati.

Era dolce, però, Varano. Come si possa dire così di un pluriomicida, non lo so. Magari la moglie e l'amante, ammazzati – ma è stato per errore, mi sono partiti due colpi per errore: uno a casa e l'altro alla stazione – non sono d'accordo.

Ma a me mi viene da pensare così, allora va bene.

Che un futuro drammatico ci aspetta
Che non ci abbiamo una lira
Che forse le cose si risolvono
Che no stasera non mi va, magari domani che siamo riposati

Che stupido
che sono

che tu non mi rassicuri
che chissà domani, perché questo è proprio un brutto periodo
che quando mai è stato un bel periodo?
che tu ma quanto ti aspetti ancora di vivere?
che non è più tempo per queste cose
che tu non hai proprio il senso della famiglia
che qual'è il senso della famiglia?
che siccome ho voglia di leccarti la fica non ho il senso della famiglia

che tutte le cose che non vanno
se durano troppo a lungo
non sono sane
che alla sera
sono stanco dopo
che non ho fatto
un cazzo tutto il giorno

che ma intanto che aspettiamo che questo futuro
drammatico si avveri,
noi intanto,
oggi per esempio,
che minchia facciamo?

Ma io quando sarò nel futuro
e quando sono stato nel passato
mi sono mai accorto
che
per un attimo
ho vissuto nel presente?

Che hai proprio ragione
se ti dimentichi di vivere,
a volte puoi riprovarci
ma non c'è più nessuno.

Che bafanculo.

Che prima di vivere come vuoi,
che quelli che si mangiano il buco del culo del polpo perché non lo sanno riconoscere,
che non l'hanno mai pulito,
che proprio loro ti rompano i coglioni...

Che ma rivaffanculo.

Che forse bevo troppo.
Che non me ne frega niente.
Che eppure sono dolce anche
io.

* * *
- Spicciati, che qui piove.
La spiaggia era recintata, gli inneschi sistemati. Bastava solo un cenno, un assenso.
Aveva iniziato a piovere. La gente iniziava ad andarsene, coprendosi la testa con quello che gli capitava sottomano, un k-way, una borsa di plastica. Qualcosa.

- Manda su 'sti cazzo di fuochi, che se no non ci pagano. Ci saranno ventimilioni di polvere, qui...

Anche il venditore di polpo lesso sulla stradina che portava al mare se ne era andato. Una serata persa, incasso andato, fanculo ai temporali estivi.
Solo un ragazzo resisteva sulla duna sabbiosa antistante la spiaggia. Sembrava la pioggia gli piacesse.

- Pigia sto cazzo di pulsante, stronzo. Cosa ti pago a fare?

Gli sembrò qualcosa di simile ad un cenno per l'inizio dello spettacolo. Azionò l'interruttore. E si mise a guardare, col naso all'insù

Lo spettacolo iniziò. I fuochi artificiali partivano verso il cielo, gran botti che risuonavano nel petto. Ma non riuscivano a salire, sconfitti dal temporale.

Salivano. Poi piegavano verso il basso. Esplodendo si riflettevano nelle gocce d'acqua.

- Meraviglioso, è meraviglioso -, penso il ragazzo sulla duna. - Non ho mai visto niente di più bello.

Anche l'uomo del pulsante pensava la stessa cosa.

* * *

- Ciao nonno...
L'uomo dietro al bancone si illuminò in un sorriso : - Passerotta, cosa ci fai in giro a quest'ora? dai nonno ho dodici anni; ci sono i fuochi...
- Mamma?
- Non so, è fuori...
- Papà?
La bimba non rispose.
- Lascia stare io e tuo padre non siamo mai stati troppo fortunati con le donne.
L'uomo con il riporto dei capelli allungò le braccia al di là del bancone. La bimba alzò le braccia e si fece sollevare e portare al di là del banco del bar.
- Sai cosa facciamo noi ora? -, sussurrò alla bimba, reggendola in alto sopra il bancone, - chiudiamo il bar e ce ne andiamo a mangiare una pizza. Cosa ne dici? Hai fame?
La bimba era quasi una ragazzina. Gambe lunghe e storte. Occhi azzurri e lentiggini. Capelli biondi a maschiaccio, tettine che pareva l'avesse pinzata un'ape.
Sorrise.
- Siiii! Nonno, dai!
- Sistemo due cose e la notte è nostra, passerotta -, concluse l'uomo col riporto ai capelli.

La prima esplosione provocò solo un leggero tremito alle sue mani, mentre riponeva le tazzine sulla macchina del caffè, pronte per l'indomani.
Ma fu la terza a dipingergli la paura sul volto. Un lungo fischio, poi l'esplosione bassa che illuminò il cielo a giorno.
- Al fosforo, questa è al fosforo -, pensò il vecchio.
Era stata dura a Den Bien Phu nel '54 con la Légion. Più che dura. Terrore, nient'altro.


* * *

Il nonno tirò giù la serranda del bar, mentre la bimba leccava il suo gelato.
La piccola, ebbe paura, voltandosi.
L'aveva sempre considerato un vecchio, per quanto vigoroso. Ma mite. Con quegli stupidi capelli bianchi riportati dalle tempie per coprire il cranio pelato. Tenero.
Il ragazzo tatuato avanzava con un coltello in mano. Minaccioso.
Il nonno si mosse rapidamente, senza più tremiti. In silenzio.
Si spostò di lato per non offrire il facile bersaglio del corpo. Contemporaneamente afferrò il braccio del giovane e lo fece ruotare su se stesso. Lo butto a terra a faccia in giù.
Il ragazzo mollò il coltello, con un leggero gemito.
Il nonno lo prese, impugnandolo in alto sulla lama, appoggiando il pollice sulla parte piatta.
Lo puntò alla base del cranio e spinse verso il basso.
Non ci furono urla, nemmeno qualcosa di paragonabile alla violenza.
Solo una pozza di sangue.
La pizza, dopo, la mangiarono con gusto. Chiacchierando